All Apologies: un romanzo musicale

Nello scorso articolo abbiamo raccontato un po’ di curiosità su All Apologies, romanzo in arrivo nei prossimi mesi che sarà la mia pubblicazione più lunga a oggi (se ignoriamo una certa opera sperimentale uscita in forma di pseudobiblion/blog molti anni fa e mai completata, per il dispiacere di pochi ma fedelissimi lettori).

Una storia di fantasmi, dicevamo, che si rivolge prettamente a persone di una certa fascia socio-demografica e che parla molto di musica: dal momento che scrivo questa riflessione il 5 aprile 2024, ovvero a trent’anni esatti di distanza dal suicidio di Kurt Cobain, credo sia necessario parlare un po’ del tipo di musica di cui parla il romanzo, che prende il titolo da una canzone dei Nirvana.

La musica, o per meglio dire i gusti e gli interessi musicali del narratore, rappresentano in sostanza l’elemento più marcatamente autobiografico del racconto (ogni volta che scriviamo qualcosa ci sono elementi autobiografici: anche la nostra lista della spesa racconta qualcosa di noi). Ecco allora un elenco di alcuni pezzi che giocano o hanno giocato un ruolo di rilievo nell’economia della storia, nella genesi del romanzo o nel processo creativo, presentati cercando di non svelare troppo sulla trama perché molta gente odia gli spoiler. Ca va sans dire, alcune di queste informazioni potrebbero diventare obsolete da qui alla data di pubblicazione: non si sa mai.

  • All Apologies, come abbiamo detto, è il pezzo che dà il titolo al romanzo. Il brano è contenuto in In Utero, ultimo album in studio della band di Seattle, nonché nel live Unplugged in New York. Ritenuta a torto da molti una sorta di lettera d’addio di Cobain, il quale si sparò una fucilata appunto 30 anni fa, la canzone fu scritta diversi anni prima: parla, in estrema sintesi, di convivenza coi propri limiti e sbagli. Oltre a dare il titolo al romanzo, il pezzo gioca un ruolo fondamentale nella storia.
  • Nelle mie intenzioni, ma qui bisogna aspettare il via libera dell’editor, l’epigrafe del romanzo è tratta da Bro Hymn, pezzo della punk rock band Pennywise: scritta dal bassista Jason Thirsk come tributo a tre amici scomparsi e rilasciata originariamente nel 1991, la canzone venne poi dedicata allo stesso Thirsk dal resto della band dopo che questi si tolse la vita nel 1996. Parla dell’importanza di rimanere accanto ai propri cari (i “Bros” ma non solo), e anche se dubito che qualcuno se ne ricordi fu il primo pezzo con cui mi esibii insieme ad alcuni amici quando avevo tredici o quattordici anni, salendo sul palco su cui suonava un gruppo di amici un po’ più grandi di noi per partecipare ai cori che caratterizzano questo anthem memorabile (almeno per noi).
  • Fairytale of New York è una canzone di Natale atipica, e non solo perché l’hanno scritta The Pogues: parla di due persone che si amano e si odiano, ricordano i bei tempi e si maledicono a vicenda. Insomma, una relazione come tante, con la particolarità che qui oltre a volare insulti pesantissimi è anche sottintesa la presenza di un quantitativo di alcool spaventoso. Non solo l’alcool compare più volte nel romanzo ma anche e soprattutto è centrale una storia tormentata come quella raccontata in questo pezzo, il quale viene citato espressamente nel libro sottolineando qualche parallelismo con la situazione.
  • Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town è un pezzo semplice ma fenomenale dei Pearl Jam degli anni migliori, e oltre a essere citata nel racconto è abbastanza a tema. Parla di due persone che si incontrano dopo molti anni: lei riconosce lui, lui non riconosce lei, lei non dice niente ma riflette sulle sensazioni che si provano in casi come quelli. E questo è un romanzo che parla appunto di due persone che continuano a incontrarsi e reincontrarsi. Quattro accordi e via, come molti dei pezzi migliori.
  • Look what happened è un pezzo dei Less Than Jake cui sono molto affezionato che parla di un altro tema del romanzo: la vita di chi abita in periferia e pur sentendo la voglia di andare via finisce per non partire mai. Questo ha una doppia valenza nel romanzo, il quale è ambientato appunto in periferia (in senso lato e letterale) e nel quale si parla molto di cosa voglia dire abitare in un contesto talmente negletto dalla cultura popolare da sembrare quasi artificiale.
  • Would? è un pezzo memorabile di un’altra grande band di Seattle, gli Alice in Chains: parla di dipendenza, di ricadere negli stessi errori, della difficoltà di uscire da una pozza di catrame di quelle citate anche in All Apologies. Si sarà capito a questo punto che la cosiddetta scena grunge è ben presente in questa storia: a livello climatico e sociale, trovo che il contesto in cui fiorì non fosse troppo diverso dalla periferia di cui sopra.
  • What’s my age again? è un pezzo di quella che a questo punto potrei quasi definire la mia infanzia: quando i blink-182 fecero uscire questo pezzo non avevo ancora compiuto quindici anni, e quando stai per compierne quaranta hai iniziato a guardare ai quindicenni come se fossero dei bambini da un pezzo. Oltre a essere citata in un capitolo un po’ particolare (uno di cui la gente che rompe le palle dirà che è poco “Show, don’t tell“, ma noi ce ne freghiamo), la canzone parla in un certo senso di non volere (o di non essere in grado di) crescere, tema che in senso lato è abbastanza centrale nel racconto.
  • My head is full of ghosts è un pezzo dei Bad Religion citato nel bellissimo romanzo di Paul G. Tremblay A head full of ghosts, uno dei molti che ho letto durante la fase di studio e preparazione per scrivere questo. Abbiamo detto che è una storia di fantasmi, giusto? Giusto.
  • Story of my Life dei Social Distortion rientra nel nutrito gruppo di pezzi ascoltati a ripetizione durante la stesura del romanzo, così come tante altre canzoni della band californiana. Il titolo lascia intuire facilmente il tema della canzone, la quale racconta la vita di una persona che ha non poche cose in comune con il nostro narratore. C’è almeno una citazione nascosta del testo di questo brano all’interno del romanzo. Ma neanche troppo nascosta, dai.
  • Drain You chiudiamo la carrellata con un altro pezzo dei Nirvana, nominato di sfuggita ma che per il sottoscritto ha grande importanza: tante volte da ragazzi abbiamo iniziato un concerto proprio con questo pezzo. Eravamo giovani e inesperti, poi avremmo tutti raffinato i nostri gusti e imparato a suonare roba ben più complessa, eppure non sono sicuro di volermela lasciare alle spalle. Non del tutto, dai: non tutta la nostalgia viene per nuocere, non sempre tenere un piede nel passato vuol dire rimanerci invischiati. E poi diciamocelo: musica come quella della nostra infanzia non ne fanno più.

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