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Rosalita spalanca la finestra: per lei – che ha imparato da poco ad apprezzare il proprio nome springsteeniano e che vorrebbe tanto essere scappata prima di compiere vent’anni, prima che Marco la lasciasse sola, prima che arrivasse il virus e si finisse imprigionati – quella finestra rappresenta l’unico spiraglio di libertà.
Il 2020 è iniziato da poco ma è già l’anno più brutto della sua vita: la primavera sgomita per arrivare prima, gli uccelli volano più in alto del solito, eppure tocca stare chiusi qui. Perché purtroppo gli uccelli non sono i soli a librarsi nel vento, e allora si rimane in casa, si spera in meglio, si masticano i minuti come fa un cane alla catena col suo osso. E si dorme male, si sogna peggio, si urla con mamma e papà e poi subito ci si pente, si origliano i vicini. Ogni tanto – e questo è uno sbaglio – ci si lascia ipnotizzare dalla TV: dalla conta dei morti, dai contagi che fanno la ola, dalle urla di politici e santoni. Tutto quel rumore, quel rumore, quel rumore che è solo un otre rigonfio di paura con neanche una goccia di speranza dentro, di armonia, di bellezza. Quel rumore che non sa farsi musica.
E allora facciamola noi: spalanchiamo la finestra, ché stasera è il momento giusto per cantare. Stasera urliamo al mondo che qui dentro noi siamo ancora vivi, che abbiamo voglia di avere vent’anni o trenta o cento e tornare liberi, e che comunque vada niente e nessuno ci spegnerà la musica nel cuore.
Stasera è il momento giusto per cantare: Rosalita ha con sé la sua chitarra, solitaria come un cowboy si avvia verso il tramonto. Esce sul balcone, scopre di non essere l’unica: mille finestre tutte aperte, come tante bocche spalancate, e altrettante voci smaniose di volare. Neanche la sua chitarra è l’unica, e insieme alle chitarre ci sono tamburi e tastiere e fiati. C’è addirittura un violino, là fuori, pronto a suonare l’Inno.
Stasera è il momento di cantare, e ignorando per un poco la paura, affacciata ad un balcone, l’Italia intera canta. Domani si vedrà.