NOTA: Questo racconto è stato pubblicato originariamente nel 2021 sul mio Patreon, sul quale sono presenti molte altre storie. Alcune di esse, quelle di pubblico dominio, pian piano potrebbero migrare qui. Altre sono riservate ai miei abbonati.
«Oh, rabbia!»
«Asp-p-p-p-petta, P-p-pooh!»
«Fermiamoci un attimo qui», disse Benedetti mettendo in pausa il video con un tocco leggero dell’indice affusolato.
I due ragazzi rimasero congelati sullo schermo in una posa di grottesca estasi, che tradiva però un retrogusto di sottile sofferenza degna di un capolavoro neorealista: l’uno – un piccoletto grassottello dal corpo rosaceo e morbido, con due baffetti appena accennati e un naso di plastica da maialino tenuto fermo sul volto mediante un elastico – stava a quattro zampe e aveva il volto inquadrato da vicino dalla telecamera, la quale immortalava gli occhi piccoli e chiusi e la bocca distorta in una smorfia di malcelata delusione, lasciando al contempo intravedere anche uno scorcio del pene striminzito ma vivace di lui; l’altro – più alto e robusto, con le guance già cadenti nonostante la giovane età e ricoperte da una barba lanuginosa, gli occhi leggermente disallineati, una t-shirt rossa arrotolata sul ventre gonfio e curiosamente glabro, sulla testa un cerchietto con orecchie da orso color miele – stando alle spalle del coprotagonista ne artigliava i rotolini di adipe con mani ingorde, e a giudicare dall’espressione ascetica e al contempo corrucciata gli stava presumibilmente eiaculando tra le chiappotte.
«Che ve ne pare?», proseguì Benedetti incoraggiando il dibattito.
«Mah. Quanto hai detto che hanno monetizzato questi?», domandò il ben poco indulgente Santarossa, come al solito molto pragmatico e poco interessato ai risvolti artistici. Cicutto, che di converso si rivelava spesso più avvezzo a considerare gli aspetti meno tangibili (quando non si lasciava andare apertamente ai voli pindarici), tentò di posticipare la discussione sugli introiti derivanti dal video a una fase successiva, se non di evitarla proprio: «Scusa Santarossa, ma com’è possibile che la prima cosa che ti venga in mente di chiedere sia quanto abbiano guadagnato con il video? Non ti rendi conto che qui siamo davanti a un’opera coraggiosa, per non dire a uno statement artistico a tutto tondo? Questi ragazzi hanno avuto il coraggio di sfidare la più importante multinazionale dell’intrattenimento sul suo stesso campo, e hanno deciso di farlo con un’opera semplice ma ardita: un’opera che prende un mito dell’infanzia e lo rilegge attraverso una lente prepotentemente umana.»
«Anche secondo me dovremmo prima di tutto fermarci un momento a pensare al video, e solo in un secondo momento valutarne eventualmente gli aspetti economici, – concordò Benedetti, che aveva iniziato ad annuire con vigore a partire da “opera coraggiosa” – anche perché qui ci sono delle finezze tecniche non da poco: guardate qui, guardate al minuto ventisei – e mandò indietro il video – come la scelta dell’illuminazione rende giustizia alla scena. Se zoomiamo un po’ – e ingrandì l’immagine – possiamo notare queste piccole gocce di sudore che dimostrano una passione, un vigore e un’energia straordinari: esagero a parlare di metodo Stanislavskij? Forse no.»
Il frame sullo schermo mostrava in alta risoluzione e molto da vicino lo scroto umido e rattrappito di un quarantenne, scroto che – chi aveva guardato il video per intero lo sapeva bene – la trama semplice ma non banale del film aveva portato poco prima a essere calciato con veemenza. Il possessore dello scroto in oggetto, in accordo con il ruolo interpretato nell’opera, portava sul capo due flosce orecchie da coniglio.
«Non saprei, a me a dire la verità pare molto vanilla», sentenziò seccamente Santarossa mirando a frenare gli entusiasmi.
«Che intendi dire?»
Benedetti in realtà credeva di sapere dove Santarossa volesse andare a parare, tuttavia alimentare il dibattito era più di una missione per lui: era uno stile di vita. Benedetti aveva due grandi passioni: il pianoforte e l’umanità. Il pianoforte inteso tanto come strumento di diletto (Benedetti aveva mani da pianista, se l’era sentito ripetere per tutta la vita e da tutta la vita ne faceva buon uso, anche se non professionalmente) quanto come opera d’ingegno, con le sue meccaniche rigorose, la netta suddivisione in semitoni, i tasti bianchi e i tasti neri, i martelletti; l’umanità intesa non come genere umano ma come caratteristica umana, come condizione umana, come summa ed espressione dei limiti e delle potenzialità delle persone. L’umanità non era meccanicamente rigida né ammetteva categorizzazioni nette, e in questo – pensava Benedetti – era più simile a una chitarra che a un pianoforte: ricordava bene la volta in cui, quindici o vent’anni prima, un amico musicista l’aveva fatto riflettere su quante e quali fossero le capacità espressive di uno strumento a corde rispetto a quelle di un pianoforte o di una tastiera («Forse la chitarra è il vero piano-forte», si era spinto a dire l’altro): l’umanità era piena di microtoni e a Benedetti piaceva ascoltarli, nonché cercare di farli venir fuori pizzicando delicatamente le corde altrui.
«Intendo dire che è roba già vista, per non dire banale: i cosplayer si inchiappettano dagli anni ‘90, sai che novità. Quanti video come questo ci saranno, là fuori? Io dico tanti. Magari non sono girati così bene, magari non sono stati caricati su una piattaforma mainstream come quella usata da loro, però ci sono e non sono pochi. Questo cos’ha di speciale? Perché una persona dovrebbe scegliere di pagare per vedere proprio questo video?»
«Non è questione di pagare né questione di fare per forza qualcosa di innovativo – replicò quasi seccato Cicutto –, è questione di esprimere delle idee da un lato e di supportarle dall’altro. Scegli di dedicare delle attenzioni a queste persone non per il video in sé ma per quello che rappresenta: sono individui coraggiosi che hanno sfidato il sistema.»
«Ma che sfidato il sistema, dai: questi qui sono parte integrante del sistema, non prendiamoci in giro. E lo siamo anche noi, quindi non facciamo finta che il famigerato sistema ci faccia schifo perché non è così.»
«Ma parte del sistema sarà tua sorella! Io mi sono chiamato fuori anni fa, e lo sai bene: quello che facciamo noi non ha niente a che vedere col sistema, così come quello che fanno questi ragazzi. Sono spiriti liberi, altroché.»
Benedetti era evidentemente interessato ad approfondire un altro po’ la questione, dunque non disinnescò immediatamente la polemica che andava accendendosi ma si limitò a cercare di contestualizzarla: «Scusate, vogliamo fare un passo indietro e provare a definire cosa intendiamo con “sistema”? Perché mi sa che avete e abbiamo delle opinioni diverse a riguardo.»
«C’è poco da definire: il sistema che dico io è l’insieme di regole e meccanismi che fanno sì che dei ciccioni vestiti da cartoni animati che si inculano davanti a una telecamera vengano considerati artisti e vengano pagati in base a quanto diventa virale il loro video. E il sistema che dice lui è la stessa identica cosa, solo che quelli che pur partecipandovi gli stanno simpatici sono esentati da colpe. Noi compresi.»
«No caro, sei in errore – replicò Cicutto, evidentemente lieto di poter partire per la tangente con una delle sue divagazioni – e adesso ti spiego anche il perché: da che mondo è mondo, per riuscire a scardinare le dinamiche sociali preponderanti occorre agire dall’interno. Se non riesci a comunicare con quelli che subiscono le radiazioni ionizzanti del sistema non potrai mai “svegliarli” – gesto delle virgolette con le dita –, dunque devi fare uno sforzo e compromettere apparentemente la tua integrità per scendere al loro livello. Aspetta, che brutta espressione! Non scendere, no, diciamo mettersi in contatto: mettersi in contatto con loro per instaurare un dialogo, e dialogando aiutarli a liberarsi dalle pastoie del sistema. Quello che facciamo è sfruttare le armi del sistema per abbattere il sistema stesso. Dobbiamo farlo usando i mezzi e il vocabolario che sono propri del sistema, o saremo percepiti come organismi estranei e rifiutati.»
Benedetti, che avrebbe voluto chiedere a Cicutto cosa pensasse della figura del ribelle idolatrato dalle masse – figura apparentemente estromessa dal campo di battaglia morale che il collega stava tratteggiando –, ebbe a malapena il tempo di aprire la bocca prima di essere sovrastato dall’impeto sarcastico di Santarossa: «Sì sì, tutto bellissimo: gliel’avete fatta vedere voi. Però, a parte il fatto che dovresti lasciare le radiazioni ionizzanti a chi sa cosa siano, ti consiglio se vuoi fare il comunista o il pensatore o il paladino degli oppressi di ricordarti cosa diceva De André. Ad esempio quando parlava di uccidere i soci vitalizi del potere favorendo il potere. Te lo ricordi ancora De André, o è troppo poco post-postmoderno per i tuoi gusti?»
«Santa, chi ha mai parlato di comunismo? A parte te, io direi proprio nessuno: quelle sono categorie superate. Io sono solo una persona che vede i limiti della società e cerca nel suo piccolo di spostarli un po’ più in là, quei limiti.»
«Mah, a me pare che i limiti ti vadano benissimo lì dove stanno.»
A quel punto Benedetti, cercando di non trasudare brodo di giuggiole per quello scambio di vedute da cinquantamila condivisioni almeno, decise di riportare la discussione sui binari: sapeva bene che nelle discussioni online è importante saper centellinare a dovere temi molto sentiti e polarizzanti tipo la politica, l’eutanasia e Guerre Stellari. Anzi, più che importante è vitale, tanto quanto lo è per un consumato chef la capacità di dosare bene le spezie. La collaborazione con Santarossa e Cicutto era gratificante ma delicata, come la cura di un bonsai o come un allevamento di piranha: i tre si conoscevano da una vita, erano sempre stati in disaccordo su un sacco di questioni importantissime e in totale armonia su quelle frivole, dunque si volevano un bene dell’anima. Benedetti considerava la loro simbiosi come una moderna rappresentazione del mito platonico del carro e dell’auriga, quello con il cavallo bianco e il cavallo nero che trainano una biga alata e fanno un gran casino (immaginando naturalmente sé stesso nel ruolo del cocchiere – ovvero della ragione – come d’altronde chiunque fa). «Ragazzi, quello che dite è molto interessante ma concentriamoci un attimo sul video. Cic, tu dicevi prima che lo consideri uno statement artistico: posso chiederti di elaborare?»
«Volentieri: inizio dicendo che per me la parodia è una delle ultime forme d’arte possibili. Perché? Perché naturalmente tutto quello che si poteva dire o fare è già stato detto o fatto. Lo disse già Carmelo Bene parlando di Joyce: finalmente nessuno scriverà un libro, finalmente si ripubblicheranno i classici. Non a caso ormai al cinema ci sono solo reboot, remake, sequel, prequel, film tratti da fumetti, film biografici, film su come sono stati girati altri film: tutto è derivativo. E quelli mica sono stupidi, eh? A Hollywood intendo: sono tanti, sono creativi, sono metodici, sono ricchi. Hanno i mezzi, le competenze e le persone per fare tutto, dunque se fosse possibile fare qualcosa di nuovo loro lo farebbero, no? Però non lo fanno. E perché non lo fanno? Perché sanno che sarebbe inutile provarci: non ci sono più grandi trovate rivoluzionarie da tirare fuori dal cilindro. Molto meglio proporre idee consolidate, schemi consolidati, personaggi consolidati: è questo che la gente si aspetta. Tutto è una copia di una copia di una copia: lo dicevano anche in Fight Club. E allora cosa si può fare? Cosa si deve fare? Si deve prendere una delle idee di base, quelle che già sono state pensate, e giocarci. Ed ecco che, in un mondo in cui il remake è la prassi, la parodia diventa una sfida: questi ragazzi hanno quindi innanzitutto questo merito, il merito di aver preso dei personaggi talmente consolidati nel nostro immaginario da essere quasi archetipici e averli trasformati in qualcosa di differente.»
Tirate come questa erano tipiche di Cicutto, e Benedetti le adorava perché – per quanto sapesse essere a volte pedante – Cicutto aveva un buon ritmo: si poneva da solo con cadenza serrata domande sostanzialmente retoriche, rispondeva a se stesso con affermazioni apparentemente sensate (sebbene spesso banali e altrettanto spesso in totale contrasto con le premesse enunciate un secondo prima), infilava citazioni a sproposito e infiorettature pretenziosissime a spron battuto, riuscendo a parlare del nulla per un lasso di tempo virtualmente illimitato. Sarebbe stato un ottimo politico – pensava Benedetti – se non fosse stato piagato da un’inguaribile voglia di lavorare, nonché da una tendenza molto marcata a detestare sottilmente il prossimo in nome di una sua presunta superiorità culturale (cosa che di per sé non sarebbe stata ostativa a un ruolo rappresentativo ma che non sempre gli riusciva di tenere nascosta, come d’altronde si era probabilmente intuito poco prima).
«In realtà in Fight Club quella frase la usavano parlando di insonnia – puntualizzò Santarossa – e tu l’insonnia la stai curando a tutti quanti. Però almeno mi pare che ti stia avvicinando al punto: si fa quello che il consumatore vuole, ovvero quello che fa monetizzare.»
Cicutto ignorò la provocazione e nuovamente evitò di parlare di ritorno economico, e riprese il monologo: «Qualcosa di differente, dicevo: secondo me qui l’operazione è davvero interessante perché hanno sviluppato i ruoli in maniera sopraffina, trovando tra l’altro un compromesso egregio tra l’espressione della propria sensualità e uno storytelling in un certo qual modo avvincente, sebbene a tratti forse un po’ acerbo.»
«La storia in realtà secondo me lasciava un po’ a desiderare – disse a malincuore Benedetti, solitamente esitante nel criticare troppo severamente il lavoro altrui –, specie nella parte in cui l’asino cerca di farsi riattaccare la coda e invece del chiodo usano…»
«Ecco, sì: lì francamente avrei usato un taglio diverso. Però è a sua modo una sequenza potente, e io ci vedo anche un atto di denuncia: l’asino è chiaramente depresso, lo è sempre stato e nessuno ha mai fatto niente a riguardo. Questa è la prima storia, sebbene apocrifa, in cui lo si veda a un certo punto essere contento. La presenza di tutto quello sperma non lascia adito a interpretazioni, mi pare fosse al minuto settanta o giù di lì. Sì, manda ancora un po’ avanti… ecco! Guardatelo: in questo momento lui sembra essere felice, ha scordato ogni preoccupazione, e lo spettatore empatico non può fare a meno di essere contento per lui. Forse gli autori ci vogliono dire che anche le persone tristi meritano l’amore, l’appagamento dei sensi, il sesso, e che dovremmo fare uno sforzo collettivo per tirarli fuori dal loro guscio? Forse l’unica autentica cura per la tristezza, l’unica fonte di sollievo temporaneo la possiamo trovare qui sulla Terra, gli uni negli altri, anziché affidarci a un ipotetico aldilà?»
«Molto interessante Cic, anche se non riesco a concordare su tutta la linea. Io penso tu abbia ragione riguardo alla loro rilettura dei personaggi, hanno sicuramente fatto delle scelte radicali e coraggiose, però non mi pare di poterla considerare una grande esplorazione della condizione umana.»
«Sentite, esploratori della condizione umana, parliamo un attimo di cose concrete: siamo o non siamo d’accordo sul fatto che al netto dei bei giri di parole qui siamo di fronte a delle persone che hanno passato novantadue minuti di fronte a una videocamera ad avere rapporti sessuali a pagamento travestiti da orsetti e canguri?»
«Io credo che almeno tre di loro abbiano una relazione stabile – puntualizzò Benedetti –, e uno dei due canguri era fatto in computer grafica.»
«Sì, buon per loro – ribattè Santarossa – ma siamo o non siamo d’accordo che nei fatti è questo che abbiamo appena guardato? Prostituzione con dei passi extra?»
«Beh, puoi dire così se intendi sminuire e banalizzare il loro lavoro», disse piccato Cicutto.
«Non sminuisco il lavoro di nessuno Cic, è solo che vorrei fare una considerazione molto concreta e per farla devo prima ridurre ai minimi termini la questione. Stiamo parlando di persone che hanno deciso di fare quello che ho appena detto io, e senza voler emettere alcun giudizio morale io mi chiedo una cosa molto semplice: hanno fatto un buon lavoro? Per me, francamente, non molto: tornando alla mia premessa, e sperando che questa volta mi lasciate articolare a dovere, per me questa roba è vanilla. Sì, hanno speso per la strumentazione e hanno ragionato sulla sceneggiatura, e devo dire molto onestamente di essere rimasto colpito da un paio di trovate niente male. Tutta la sottotrama sull’urofilia di Tigro ad esempio mi ha colpito molto, e anche la scelta di ingaggiare il nano per fare il più piccolo dei due canguri e di ricreare a computer l’altro mi è sembrata coraggiosa: bravi, niente da dire. Ma vogliamo dirci chiaramente che di fatto qui non c’è nulla di davvero insolito? Si tratta di un film fetish come tanti, e non la chiamerei parodia più di quanto non la chiamerei carnevalata: io non ci vedo niente di coraggioso e lo considero uguale a mille altri film che abbiamo analizzato. Quindi vi ripropongo un mio vecchio cavallo di battaglia: mettetevi nei panni di uno spettatore e ditemi: investireste tempo e denaro in questo prodotto? Io francamente no. L’offerta è talmente smisurata che anche di fronte a una domanda molto consistente il prezzo di questa roba non è commisurato.»
Benedetti fu preso da un brivido di adrenalina, anche se fu bravo a dissimularlo: si preannunciava un grande finale di puntata. Benedetti amava Santarossa per la sua capacità di entrare a gamba tesa in qualsiasi discussione con opinioni nette, prive di fronzoli, a volte controverse ma invariabilmente chiare e lapidarie: facevano sentire una buona fetta dei loro spettatori più intelligenti di quanto in realtà non fossero, esponendo opinioni razionali (o apparentemente razionali) cui poter aderire. Serviva in questo da perfetto contraltare a Cicutto, andando a servire una fascia di audience complementare a quella della controparte. E c’era un unico, vero obiettivo arrivati a quel punto dell’episodio: assicurarsi che la community sentisse la necessità di parlarne, di commentarlo, di condividerlo.
«Eh, la famosa domanda da un milione di like», rispose senza rispondere Benedetti, evitando democristianamente di prendere una posizione netta ma infilando en passant un bel call to action nella mischia.
«Mah, fosse per me sarebbe tutto gratis: uno si connette e trova on demand quello che gli serve e i creatori vengono sostenuti con donazioni volontarie o da una specie di reddito per la partecipazione alla comunità online», mentì Cicutto improvvisando lì per lì qualcosa di populista.
«Però non è tutto gratis e mai lo sarà. E allora uno secondo me si deve chiedere: cosa sto comprando con questi soldi? Che siano un euro, dieci euro, mille euro, perché pago Tizio che si fa inculare vestito da maialino e non Caio che si fa frustare da una studentessa di Lettere mentre recita poesie di Tranströmer?»
Uno studiato momento di silenziosa introspezione, lungo quanto bastava per creare attesa nello spettatore: Benedetti esultò impassibilmente e senza emettere fiato per la perfetta armonia della (sua) squadra. E poi Santarossa si concesse la chiosa finale: «Perché, come ci siamo già chiesti in passato, pagare per comprare su OnlyFans cose realizzate da amatori, quando la stessa cosa si può ottenere gratuitamente in quantità industriale, e per di più realizzata da professionisti? Io dico che è per l’illusione di ottenere qualcosa di speciale, qualcosa di unico. E nei casi più patetici, in quelli più indicibili, per l’illusione di instaurare un rapporto breve ma intimo con un’altra persona: l’illusione di sfondare il muro di byte e arrivare a stringere a distanza la mano di un altro essere umano, di qualcuno che mentendo ci dica che tutto andrà bene e che non siamo soli. O quantomeno l’illusione di poter toccare un bel paio di tette, che è quasi come sentirsi dire che tutto andrà bene. Questo secondo me è il vero motivo che spinge la gente a pagare un premium price, e io qui purtroppo non ne ho trovato traccia.»
Benedetti si sentì fiero del lavoro fatto. Nei trenta secondi seguenti i tre salutarono, ringraziarono uno sponsor, quindi si congedarono dal pubblico.
*
«Beh, il programma è finito. Che ne dici? Giudizio finale?», chiese Carlo adottando il suo inconfondibile rotacismo fasullo e sforzandosi di tirare fuori la più meneghina delle inflessioni.
«Guarda Carlo, sinceramente mi è parso un episodio di Esegesi un po’ sottotono, cioè… sì, dai, boh, un po’ noioso, no? Io gli darei un sei e mezzo su dieci. Massimo sette, ma proprio massimo massimo», rispose Simona.
«Sì, mi aspettavo di più dalla loro analisi di Pimpi contro tutti: Santarossa in particolare mi è parso un po’ moscio, a parte quando ha attaccato il sistema e quando ha tirato fuori quella cosa su The Andre. Poi sul finale era tutta roba già sentita, se non sbaglio aveva fatto lo stesso esempio in un episodio della stagione due. Lo vedo distratto, forse ha ancora problemi con la fidanzata?»
«Speriamo di no.»
«Eh, infatti. Speriamo di no, sono una coppia stupenda.»
«Io li shippo tantissimo, cioè, tu non puoi capire Carlo. Cioè…»
«Comunque sono d’accordo con te, episodio un po’ sottotono. Molto meglio ad esempio quello in cui hanno analizzato Gender Stratocazzer, vero? – Simona annuì – E voi amici, che ne pensate? Scrivetecelo nei commenti e ricordate di lasciare un bel like, e mi raccomando se non vi siete ancora iscritti al nostro canale fatelo di corsa! Ci vediamo la prossima settimana qui su Reazioni Esegetiche, il primo canale di reaction agli episodi di Esegesi. Ciao a tutti!»
«A presto!»