Condivido volentieri questa intervista a un mio concittadino, Stefano Menolascina. Stefano lamenta giustamente una situazione difficile, quella di chi avendo privilegiato un percorso di studi umanistico si trova (mi auguro per lui momentaneamente) tagliato fuori dal mercato del lavoro italiano. Stefano è diventato un NEET, ovvero una persona che pur essendo priva di impiego non sta affrontando al momento un percorso di studi o di formazione. Condivido anche una mia riflessione, un parere che ho espresso commentando l’articolo sul profilo Facebook di Stefano: non ho l’illusione di avere un punto di vista particolarmente illuminato, però dal momento che si tratta di tematiche interessanti vorrei parlarne anche qui, a imperitura memoria.
“È un articolo purtroppo interessante. Dico purtroppo perché sarebbe bello che la situazione fosse diversa: in particolare, la cultura umanistica è un valore, non un disvalore, e come tale andrebbe valorizzata. Mi trovavo circa una settimana fa al MIB School of Management alla cerimonia per il conferimento di un titolo honoris causa all’amministratore delegato di Fincantieri S.p.A., Giuseppe Bono. Persona straordinariamente lucida, Bono ha evidenziato (se non addirittura denunciato) come il tentativo di trascurare le nostre radici culturali classiche sia un impoverimento per il Paese: servono sicuramente persone con bagaglio tecnico, e in tempi di crisi e trasformazione come quelli in cui viviamo molti preferiscono disinvestire sulla formazione delle risorse umane e assumere direttamente persone con skill tecniche anziché persone con mentalità malleabile da formare. Tuttavia l’Italia è l’Italia, e avrebbe forse l’opportunità di crescere maggiormente e in modo più armonico se sapesse valorizzare proprio quegli elementi culturali che oggi sono tralasciati, quelli che tu hai approfondito nel tuo percorso. E se lo dice Bono, che non è certo a capo dell’Accademia della Crusca bensì di un gruppo metalmeccanico, vuol dire che non si tratta di un giudizio proprio soltanto degli umanisti. Ci sono evidentemente dei problemi in Italia: alcuni derivano da un sistema scolastico massacrato e altri da un sistema di valori traballante. Il punto di incontro tra queste problematiche è proprio l’ingresso nel mondo del lavoro: si salta nel vuoto e spesso si atterra sui chiodi.
Detto questo, permettimi una considerazione: piaccia o meno, mettersi in vetrina come merce [e aggiornarsi costantemente, aggiungo ora] è proprio quello che dobbiamo tutti fare. Sono cambiati i tempi, i datori di lavoro controllano preventivamente le risorse che valutano sui social per scremare, insomma ci sono una gestione delle risorse umane e un talent scouting che definirei hollywoodiani o forse facebookiani: siamo tutti sotto i riflettori, come attori in passerella o come merci al supermercato, o forse come quadri in pinacoteca. Non bastano più CV ed esperienze, occorre un approccio integrato alla ricerca del lavoro che passa anche dalla reputazione digitale. Insomma, io penso che la giusta reazione alla situazione sia continuare non solo a provarci, ma anche a imparare: uno dei vantaggi della Rete (finché dura) è che nel mare di liquami formato da tanti siti di antivaccinisti e stregoni vari si trovano anche molte perle inaspettate: formazione continua e gratuita, letture alla portata di tutti, canali per crearsi una professionalità nuova senza dipendere dagli umori del mercato del lavoro. Esiste la possibilità di arricchire le proprie competenze: vogliono esperti di informatica? Magari non lo diventerai su Internet ma puoi quantomeno ottenere un’erudizione, è già qualcosa. Insomma, giustissimo puntare il dito contro un problema serio, sia per renderlo noto che sperando serva a migliorare le cose, ma occorre sempre continuare ad aggiornarsi e imparare, senza lasciare che nessuno si permetta di farci sentire inadeguati.”
Chi mi conosce sa bene che sopporto poco i guru della motivazione a tutti i costi. Tuttavia, trovo che occorra sempre continuare a provarci: non a provarci con il training autogeno o l’auto-convincimento, a provarci sul serio. NEET è dopotutto solo una parola, una sigla, una categoria in cui una infausta combinazione di eventi e scelte (nostre e altrui) può farci ricadere: noi abbiamo sempre la possibilità di uscirne, e la Rete ci dà la possibilità di provare a farlo. Chiaramente trovare un lavoro non è sempre facile di questi tempi, però è facile continuare a informarsi, imparare e migliorare la nostra preparazione. L’ambiente al momento non ci è molto favorevole, ed evolve rapidamente abilitando dinamiche spietate: l’unica risposta che possiamo e dobbiamo dare a questa situazione difficile si riassume a mio parere con due semplici parole, lifelong learning. Formazione continua, evoluzione continua, e soprattutto rifiuto dell’immobilità. Se poi le cose cambiano e le condizioni migliorano, tanto meglio. Sono sicuro che Stefano troverà la sua strada: magari gli ci vorrà più tempo di quanto ce n’è voluto ad altri, però non è forse vero e assodato che ci sono sempre tanti sentieri per raggiungere la stessa montagna? E non è forse pieno il mondo di montagne diverse per viaggiatori diversi?
Ora per favore fate partire questa canzone, e andate di corsa a imparare qualcosa.