EMA: quella monetina l’abbiamo lanciata noi

La mia prima reazione alla notizia per cui l’assegnazione della sede EMA ad Amsterdam anziché Milano fosse stata determinata dal lancio di una monetina causa pareggio, è stata come per molti altri un certo sgomento: secondo stime della Bocconi, portare nel capoluogo lombardo l’Agenzia Europea per i Medicinali avrebbe dato una bella boccata di ossigeno al Paese, offrendo all’Italia l’opportunità di beneficiare di un business da 33 miliardi di euro, di 1,7 miliardi di indotto per Milano e di qualcosa come 165 mila posti di lavoro. Com’è possibile affidare al caso una decisione così seria? Evidentemente è possibilissimo, e a pensarci bene si è trattato del metodo più imparziale possibile: non è questo il punto, andiamo avanti.

Una volta superata la delusione (perché chiaramente uno è deluso quando il proprio Paese si vede negata un’opportunità del genere) personalmente ho iniziato a contestualizzare l’accaduto, a farmi due acide risate sula parata di ipocriti che si stracciano da giorni le vesti dopo essere stati antieuropeisti per una vita, ma soprattutto a pormi delle domande. La più importante delle domande è a mio parere questa: la sede EMA abbiamo davvero provato ad aggiudicarcela? Aiuta a rispondere a questa domanda Riccardo Puglisi, professore associato di Economia a Pavia e collaboratore del Corriere: Puglisi mette in luce dettagli che fanno pensare che forse (ma proprio forse) consegnare come biglietto da visita della propria candidatura un documento scritto in maniera meno professionale della mia ricerca sugli idrocarburi per l’esame di terza media non sia stata una mossa vincente. [Il professore non parla espressamente della mia ricerca sugli idrocarburi ma è evidente che pensa a quella. NdA]

Puglisi mette in evidenza la differenza abissale tra i due documenti presentati dalle finaliste, e non è possibile dargli torto. Senza entrare nel merito dei contenuti, diamo un’occhiata alla forma: da una parte abbiamo il documento che dovrebbe presentare Milano, ovvero 52 pagine impaginate alla buona con Microsoft Word, testo nero su sfondo bianco, con periodi prolissi e troppo articolati (tipici di chi pensa in Italiano e poi traduce in Inglese) e brutture a livello di impaginazione come orribili tabelle divise su due pagine. Per non parlare dei refusi (“The school and local authorities are considering will consider […]”, pagina 21) e della oramai famigerata mappa della città divisa in due (pagine 42 e 43). Amsterdam viene presentata con 84 slide ricche di coloriinfografiche, fotografie, dati presentati in maniera chiara con paragrafi concisi. E poi autorità che ci mettono letteralmente la faccia, cosa non da poco. Il documento che dovrebbe rappresentare il nostro Paese sarebbe a mio parere inaccettabile da parte del più svogliato e sottopagato degli stagisti. Almeno, io non lo accetterei e sicuramente non pagherei volentieri un lavoro del genere.

Senza entrare nel merito dei contenuti delle due presentazioni, proviamo a fare un esercizio di onestà intellettuale: fingendo per un momento di non essere i nazionalisti da frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero che siamo, scorriamo i due file facendo finta che si tratti di due dépliant di agenzie di viaggi e proviamo a dire quale delle due mete sceglieremmo per una vacanza. Credo ci siano ben pochi dubbi: vince Amsterdam a mani basse. La cosa è disdicevole non solo perché non rende onore alla Capitale Meneghina (cui personalmente preferisco l’Olanda ma che ha una dignità sicuramente maggiore di quanto sembri dal documento) ma anche perché l’Italia non partiva svantaggiata: è vero che Amsterdam era da principio la meta preferenziale dalla maggior parte dei dipendenti EMA, ma il 65% di loro guardava anche con favore a Milano. Forse la nostra incapacità di presentare e valorizzare i nostri tesori è un problema più sistemico e grave del previsto, un problema che a quanto pare le istituzioni non comprendono o non sanno mitigare.

Proviamo a fare un secondo esercizio, dal momento che la scelta della nuova sede dell’EMA non era naturalmente una pura questione di qualità della vita: proviamo a scorrere nuovamente i due documenti ma facciamolo come se fossero i portfolio di due aziende cui dobbiamo scegliere per affidare un incarico. Quale delle due presentazioni sembra più concreta, professionale, curata? Quale delle due aziende sembra averci messo più impegno? Anche qui, mi pare ci siano ben pochi dubbi: da una parte abbiamo un lavoro adeguato ai crismi del 2017, dall’altra abbiamo una robaccia amatoriale che tradisce una fondamentale ignoranza degli strumenti comunicativi base che chiunque al giorno oggi deve padroneggiare, una sciatteria digitale che fa gridare all’incredulisperazione (sensazione definita qui). Eppure, anche di fronte a questo scempio c’è chi riesce a non mollare la presa sull’osso.

L’abito fa dunque il monaco? In parte sicuramente sì, specie nell’era in cui viviamo: non occorre essere amanuensi per fare una buona presentazione, e non occorre avere una “laurea in presentazioni” (o tempora, o mores) per capire questa non lo è. Basterebbe saper usare strumenti informatici un attimino più adeguati di Word per impaginare un documento tanto importante, o pagare un’agenzia di comunicazione, o semplicemente fermarsi a pensare prima di inviare una cosa avvilente come quella. La cosa è a mio avviso grave e assolutamente non superflua, perché qui tutti continuiamo a raccontarci a vicenda la favola del design italiano (di cui Milano dovrebbe essere capitale) e poi non riusciamo a evitare di fare figure da terzo mondo digitale mostrandoci incapaci di garantire una qualità decente nel presentare il prodotto che dovremmo conoscere meglio, ovvero noi stessi. E non ci riusciamo nemmeno quando la posta è altissima: se non sappiamo neanche a mettere in fila quattro pagine fatte bene per garantirci un indotto di due miliardi, che messaggio stiamo dando agli altri Paesi sulla nostra capacità di affrontare seriamente la gestione di un’agenzia importante come l’EMA?

Considerando che si è arrivati alla famigerata moneta con un 13 a 13 in fase di votazione, anche un singolo voto spostato grazie a una migliore qualità del materiale avrebbe fatto una differenza abissale. Tuttavia il peccato non è unicamente formale: entrando ora nel merito e leggendo attentamente le due presentazioni (cosa che provoca una certa sofferenza) si evince che il problema da parte nostra sta anche nel non saper presentare il sistema Paese. Il documento su Amsterdam non parla di una città, bensì di un’intera nazione innovativa e solida. Il documento su Milano parla di Milano: parla di una città che cerca di mettere in mostra (sciattamente) le proprie recenti vittorie. Di nuovo: che figura ci fa il Paese? Siamo davvero così campanilisti da ritenere che Milano possa presentare Milano (o al limite Varese) come entità separata  dal resto dello Stivale? Che messaggio di coesione stiamo dando? Davvero ha senso continuare a parlare di Expo 2015 quando il resto del mondo se n’è dimenticato dopo due settimane dalla chiusura? Siamo talmente bravi ad attaccarci al passato che anche quello recente sembra avere aroma di mitologia: vogliamo iniziare a parlare del futuro?

Insomma, è inutile piangere sulla monetina lanciata: siamo arrivati a quel pareggio non per colpa della Spagna, non per colpa della Germania, non per colpa dell’Europa né dei migranti o dei marziani o di Tavecchio. Sicuramente hanno inciso la nostra scarsa capacità di dialogare con gli altri attori, il nostro scarso peso internazionale, la poca accortezza diplomatica, ma anche la nostra manifesta pochezza in fase di presentazione. Il pareggio ce lo siamo dato sui piedi come la proverbiale zappa: se presentando una porcheria amatoriale del genere siamo infatti riusciti ad arrivare al rush finale, non sarebbe forse bastato metterci un po’ di professionalità in più per portare a casa un risultato che forse ci avrebbe dato qualche anno di maggiore serenità sul fronte lavorativo? Invece no, abbiamo presentato quella roba lì e ci siamo trovati davanti al più impietoso e neutrale dei giudici: il Caso. E il Caso questa volta non ci ha sorriso: evidentemente non gli piacciono i documenti impaginati male.

Ora per favore fate partire questa canzone, e imparate in cinque minuti a usare Prezi: poi potrete già dire di essere meglio di quelli che ci hanno mandati a perdere lo spareggio con l’Olanda.

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