Once were hackers – Episodio 3: #make

“What’s in a name? that which we call a rose
By any other name would smell as sweet.”

Così William Shakespeare, alla fine del 1500, scriveva in una delle sue opere più celebri, Romeo e Giulietta. E poco importa se, come alcuni fanno notare, si tratta essenzialmente della storia di una relazione di tre giorni tra una tredicenne e un diciassettenne che ha come risultato sei cadaveri: noi Shakespeare lo prendiamo comunque in parola. In un certo senso, questa affermazione del Bardo ci permette di chiudere il cerchio: abbiamo iniziato questa serie di articoli dicendo che le parole sono importanti e che possono fare danni, l’abbiamo continuata con qualche spunto di indagine su come una certa parola spesso abusata celi in realtà un mondo sfaccettato, ora la chiudiamo riflettendo su come probabilmente il problema della terminologia non sia tutto sommato così grave. Anzi, forse il problema è già stato risolto, grazie alla nascita di un movimento culturale non troppo dissimile da quello degli hacker ma amato dall’opinione pubblica. Sto parlando di coloro che vengono definiti maker o anche (con un gusto un filo rétro teneramente italiano) artigiani digitali.

Metto immediatamente le mani avanti, specificando (nel caso servisse) che non c’è una totale sovrapposizione tra le persone che nella prima metà del ‘900 iniziarono a definirsi (e a essere definite) hacker e quelli che oggi si definiscono (e sono definiti) maker: la prima e principale differenza è che storicamente gli hacker si sono interessati prevalentemente al mondo dell’informatica, ovvero principalmente al software (sebbene sia impossibile ignorare totalmente l’elettronica se si vuole conoscere davvero bene un computer). A mio parere però è l’attitudine la cosa importante, il modo in cui si indaga sul mondo e sulla tecnologia, e in questo credo si tratti di due comunità che hanno molto in comune: un maker infatti è una persona che applica lo stesso approccio curioso, fantasioso e creativo che gli hacker applicano all’informatica ai settori più disparati della vita quotidiana. Hacking di oggetti solidi, tangibili, plasmabili: i maker recuperano vecchie macchine del caffè e le automatizzano, o comprano letti all’IKEA e passano ore a modificarli come fossero auto da corsa. O ancora si costruiscono un vaso da fiori rotante a levitazione magneticao una console portatile per il retrogaming fatta in casa (risparmiando qualche centinaio di euro).

Si tratta di persone che amano il riciclo, il riuso, la scoperta di nuove applicazioni per vecchi strumenti: smontano elettrodomestici, rianimano vecchi PC, passano ore a guardare tutorial su Youtube e ad applicare quello che apprendono. A volte hanno titoli di studio, a volte no. In una parola, sono smanettoni: smanettoni i cui strumenti di lavoro sono cose come le schede Arduino e le stampanti 3D, ma anche i tavoli da falegname, le saldatrici, i torni. Una commistione tra nuovo e antico, un felice incontro tra i bei mestieri di una volta e quelli intangibili e virtuali del terzo millennio. In verità si tratta di persone che sono sempre esistite, solo che oggi cominciano ad avere dignità di movimento culturale: iniziano a riunirsi e organizzare fiere, hanno i loro punti di riferimento, mostrano con orgoglio la loro appartenenza. E attorno a loro è nato e sta crescendo un ecosistema di aziende piccole e grandi che forniscono servizi ad hoc: eCommerce di componenti elettronici, servizi di prototipazione rapida a basso costo, migliaia di pagine Internet dedicate allo scambio di contenuti e idee.

È il bello di vivere nel futuro: persone che un tempo avrebbero passato la vita da sole a giocare in garage, ora possono trovarsi (virtualmente) e giocare assieme a molte altre in un garage gigantesco e senza limiti. E alcuni scoprono che il loro vicino di casa è esattamente come loro, e da Internet tornano fuori nel mondo reale e si incontrano, e formano collettivi, associazioni, aziende. Le idee, le esperienze, i finanziamenti entrano così in un circolo che si spera essere virtuoso: persone che non avrebbero avuto da sole i mezzi per realizzare i propri progetti sono supportate da una comunità molto attiva, in crescita e ricca di punti di vista differenti. Una comunità che piace ai media e che inizia a diventare trendy. E così, alcuni di quelli che fino all’altro giorno erano parte dei cattivi diventano buoni, perché se come abbiamo visto le barriere tra queste due comunità, quella degli hacker e quella dei maker, sono sfumate, è facile capire come alcuni se ne freghino delle definizioni e degli incasellamenti, e continuino semplicemente a fare quello che hanno sempre fatto lasciando che la gente li chiami come vuole, e lasciando ai giornalisti la loro particolare visione di un mondo fatto di gente col trench che vive in mezzo ai cartoni di pizza, e che passa le notti a cercare di ribaltare il governo americano. I mitici hacker, che forse non sono mai esistiti o forse non smetteranno mai di esistere.

Ora per favore fate partire questa canzone, e correte a ordinarvi un kit per costruire un robot che fa le pulizie. Se avete problemi ad assemblarlo, troverete sicuramente qualcuno che vi dia un piccolo aiuto.

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