Recentemente ho avuto l’occasione di partecipare a un bel corso di formazione sul tema della Digital Awareness organizzato da Netpropaganda, ovvero dai mitici Riccardo Scandellari e Rudy Bandiera, due esperti di marketing, dinamiche digitali, blogging e chi più ne ha più ne metta. Uno dei concetti fondamentali della scuola di pensiero netpropagandista è una verità tanto lampante quanto difficile per molti da accettare: noi stiamo sui Social “per cazzeggiare”. Declinate questo concetto (che riporto fedelmente, senza parafrasi) come vi pare: guardare video di gattini che sciano, leggere post deliranti su come moriremo tutti tra un mese per lo schianto di un gigantesco asteroide con la Terra (a meno che Putin ci salvi tutti quanti coi suoi addominali d’acciaio), tornare in contatto col vostro vecchio compagno di banco delle elementari che ora si fa chiamare Ludmilla. Tutti lo facciamo, sebbene alcuni (molti, a ben guardare) lo facciano con una precisa strategia che ha come effetto collaterale quello di guadagnare qualcosa: in alcuni casi il guadagno è monetario, in moltissimi invece il guadagno è in termini di reputazione. E poi diventa anche monetario, se uno è furbo.
Cos’è la reputazione? La reputazione è come il campo magnetico: è un’entità invisibile che circonda le persone e le aziende, attirando o respingendo in maniera più o meno intensa altre persone e altre aziende. Occorre fare la fila per entrare da un venditore di panzerotti vicino a Piazza del Duomo a Milano? Reputazione. I Carabinieri pedinano insistentemente un ragazzo pallido con le occhiaie che frequenta la stazione di notte? Reputazione. Le persone controllano ogni mattina se è arrivata una notifica via mail dal blog di un tizio pelato che abita negli Stati Uniti? Reputazione. Si tratta in un certo senso della somma algebrica delle impressioni che abbiamo lasciato negli altri in ogni interazione che abbiamo avuto con loro, o se volete del modo in cui gli altri parlano di noi. A ben guardare, la reputazione è la colonna vertebrale del branding, personal o corporate che sia.
La reputazione è a mio avviso una forza additiva e contagiosa, almeno nei casi normali e a meno di eventi straordinari. È contagiosa nel senso che ci scambiamo impressioni ed esperienze dalla notte dei tempi: è così che abbiamo imparato a non accarezzare gli istrici. Le persone apprezzano le qualità che esprimiamo (se lo facciamo con coerenza e costanza) e ne parlano tra loro. Lo fanno per due motivi molto semplici: il primo è chiaramente che vogliono condividere le proprie storie con quelli che li circondano, il secondo è che consigliare qualcosa di buono (o sconsigliare qualcosa di cattivo) accrescerà la reputazione che loro stessi hanno all’interno del loro cerchio sociale, oltre a contribuire a quella dell’oggetto della loro narrazione. La reputazione è inoltre additiva, nel senso che più persone parleranno bene (o male) di qualcuno o qualcosa, più noi tenderemo a credere che si tratti di un giudizio fondato. Si tratta di un fenomeno empiricamente ben noto, che prende il nome di principio del consenso.
Torniamo ai Social Network, guardiamo a Facebook semplificando un po’ la situazione: cosa fate quando leggete uno status che vi piace moderatamente? Piazzate un bel like, esprimendo così il livello minimo di apprezzamento positivo che vi è possibile esternare rispetto a quel contenuto: l’autore saprà che apprezzate ma non vi sarete sbilanciati più di tanto. E se un altro contenuto vi piace moltissimo? Beh, quello lo condividete, perché volete che altri abbiano modo di leggere e apprezzare. In questo modo i vostri amici avranno un beneficio (la possibilità di fruire di un buon contenuto), voi avrete un beneficio (un granello di reputazione in più come persona che condivide materiale di qualità), l’autore del post avrà un beneficio (il suo post viaggerà, raggiungendo un bacino di utenza più ampio, dunque la sua reputazione si accrescerà particolarmente). Nel caso in cui il post sia qualcosa di “innocuo” (ad esempio il fotomontaggio della faccia di un vostro amico fusa con un’immagine della nostra Galassia) allora la cosa si fermerà lì: due risate, amici come prima. Nel caso invece in cui il contenuto sia professionale, socialmente rilevante o comunque concretamente utile ci potrebbe essere un beneficio in altri termini.

Un esempio del tipo di beneficio di cui parlo? Oltre il 60% dei datori di lavoro usa i profili Social dei candidati a una posizione per valutarne l’idoneità. Si tratta di un dato pubblicato nel 2016, ed è ragionevole pensare che quella percentuale sia cresciuta ulteriormente. Ecco che la reputazione online inizia a diventare qualcosa di meno intangibile, visto che impatta sulla nostra employability e sulla nostra autorevolezza come business partner: siamo proprio sicuri di voler far sapere ai potenziali clienti del nostro negozio di ciambelle biologiche che pensiamo che Sergio Mattarella sia in realtà un androide proveniente dall’anno 2112? Non è probabilmente una buona idea, anche se naturalmente dipende sempre dall’immagine di noi che vogliamo dare agli altri: in determinati contesti potrebbe essere una mossa del tutto in linea con il mio nostro scopo (ad esempio nel caso in cui il segmento target della nostra attività fossero persone molto, molto confuse). Smarturo (il mio alter ego saggio) sa bene che piacere a tutti è impossibile, dunque prima di inaugurare il suo punto vendita di ciambelle biologiche farà molta attenzione a comprendere la sua potenziale clientela, e cercherà di ottenere tra i consumatori di dolci una solida reputazione.
Non esiste una formula magica per crearsi una reputazione positiva, anche e soprattutto perché la reputazione che voglio avere io non è quella che volete avere voi: ognuno di noi ha i suoi obiettivi, le sue ambizioni, la sua filosofia di vita. E di conseguenza dovrebbe cercare di avere una reputazione in linea con le proprie necessità e i propri desideri: proprio come nel caso del posizionamento nel marketing (che come è noto è impossibile non avere, dato che se non decidiamo dove posizionarci noi qualcuno ci posizionerà dove vuole lui), avere una reputazione è qualcosa di inevitabile. Qualcosa che al giorno d’oggi passa anche per i Social Network, forse soprattutto per i Social Network. Nella prossima puntata proveremo ad approfondire ancora un po’ queste considerazioni e a rispondere a una domanda: è davvero possibile per noi come collettivo di persone “perdere” reputazione per strada?
Ora per favore fate partire questa canzone, e correte a condividere qualche contenuto che vi piace: farete girare l’economia.
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