La recente conclusione della terza stagione di “Twin Peaks“ ha avuto un duplice effetto sulla mia persona: da un lato mi ha devastato il sistema nervoso togliendomi la necessità e la voglia di guardare qualsiasi altra serie TV da qui alla fine dei tempi, dall’altro mi ha fatto venire una gran voglia di caffè, torta di ciliegie e ciambelle. La serie è abbastanza polarizzante, nel senso che la maggior parte delle persone la ama o la odia: credo che in realtà questo si applichi all’intera produzione di David Lynch, forse il più artisticamente estremo tra i registi USA. Lynch non è solo un regista, sceneggiatore e produttore: è anche un musicista sperimentale, a volte un attore, e soprattutto un appassionato praticante di meditazione trascendentale, disciplina alla quale attribuisce la propria creatività vulcanica e che divulga attivamente tramite la David Lynch Foundation, ente benefico che si occupa di aiutare le persone a superare situazioni traumatiche anche (ma non solo) attraverso la meditazione stessa.
Che meditare possa aiutare a sviluppare la creatività è una teoria abbastanza diffusa, e i riferimenti a tale pratica ritornano spesso nei lavori del regista di Missoula, magari non in modo evidente. Tuttavia, non è di questo aspetto della produzione lynchiana che mi preme parlare, bensì di come una singola scena girata dal buon David oltre venticinque anni fa racchiuda una piccola verità che tutti noi gentaglia moderna, noi personaggi ipercinetici, iperconnessi e iperattivi, tendiamo spesso a dimenticare. Una scena tratta appunto da “Twin Peaks”.
Il contesto, come chiunque conosca la serie sa bene, è quello delle investigazioni sul brutale omicidio della homecoming queen Laura Palmer: l’agente speciale dell’FBI Dale Cooper viene inviato nella placida (?) cittadina di Twin Peaks per investigare sull’accaduto. Giunto a Twin Peaks, Cooper stringe un rapporto di collaborazione e amicizia con lo sceriffo Harry Truman, il tutore dell’ordine locale. Le indagini sono stressanti, Cooper e Truman (e i loro aiutanti) si trovano a scavare in una sordida realtà sotterranea fatta di droga, abusi sessuali e violenze domestiche. E qualcosa di peggio, che però non svelerò a quanti non vogliano spoiler su una serie televisiva uscita un quarto di secolo fa.
Le investigazioni sulla morte di Laura sono un lavoro a tempo pieno, nel senso che Cooper e soci sono all’opera praticamente 24 ore su 24. Sì, proprio 24 ore: notte compresa, dal momento che come ogni fan di Lynch sa il mondo dei sogni non è uno in cui si possa stare con le mani in mano. Lo stress sale, gli animi a volte si scaldano, quel che è peggio è che sembra impossibile scoprire l’identità del misterioso omicida. Cooper però non demorde, anzi come ogni bravo leader riesce non solo a tirare fuori il meglio dai suoi collaboratori ma a motivarli e a fare da perno morale per tutti, senza mai perdere il controllo. A un certo punto il buon agente speciale, che proprio come il suo creatore Lynch è un conoscitore di tecniche orientali e un appassionato di caffè, condivide con lo sceriffo Truman un piccolo segreto.
Ogni giorno, una volta al giorno, concedi a te stesso un piccolo regalo. Non pianificarlo, non aspettarlo, lascia semplicemente che accada. Ragazzi, Dale Cooper sarebbe un manager perfetto! Peccato solo che abbia deciso di fare l’agente speciale.
Siamo tanto diversi, nella nostra missione quotidiana, dall’agente Cooper? Io non direi. Tutti noi combattiamo una nostra personalissima battaglia: ciascuno ha le proprie responsabilità e rapporti umani da gestire, scadenze da rispettare, problemi da risolvere. Proprio come una moka il nostro cervello si scalda e accumula vapore, la pressione sale, sale, sale, finché inevitabilmente succedono due cose: o lasciamo andare un po’ di questo vapore, oppure esplodiamo. E noi non vogliamo esplodere. Chiamiamolo time management se volete, oppure chiamiamolo istinto di autoconservazione: l’importante è ricordarsi che occorre trovare un bilanciamento tra dovere e piacere, tra raggiungimento degli obiettivi aziendali e gratificazione della nostra persona. Forse il consiglio di Cooper va bene anche per noi: facciamoci un piccolo regalo. Non dev’essere qualcosa di costoso, non dev’essere nemmeno necessariamente qualcosa di materiale, può semplicemente trattarsi di cinque minuti in santa pace senza preoccuparsi di fatturati, MBOs, scadenze, imposte. Oppure, se vogliamo essere come Cooper fino in fondo, può trattarsi di una damn fine cup of coffee.
Ora per favore fate partire questa canzone, e prendetevi qualche minuto per ascoltarla fino in fondo. Non vi corre dietro nessuno.
Eeffoc enif nmad
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