Tempo di Vacchi magri: Influencer Marketing e principio di Peter orizzontale

Uno degli eroi dell’italiano medio post-moderno è misteriosamente Gianluca Vacchi. Si tratta (lo dico per quanti siano stati in ritiro sull’Himalaya fino a ieri e ne siano felicemente ignari) di un cinquantenne muscoloso pieno di tatuaggi che ha come merito quello di essere nato in una famiglia molto ricca, famiglia che a quanto si dice lo paga per stare fuori dai piedi senza fare troppi danni. Il Vacchi si limita dunque a fare quello che un milionario annoiato può fare nel 2017: si abbronza, fa feste, si circonda di persone sicuramente disinteressatissime, promuove sui Social il suo stile di vita da scialacquatore al grido di enjoy. Anzi, #enjoy. A oggi ha oltre 11 milioni di follower su Instagram: si tratta sicuramente di persone che lo apprezzano per le sue qualità umane, non guardoni morbosi che sperano di sbirciare mezza tetta dell’ennesima modella o che confondono ricchezza piovuta dall’alto con successo. Sono sicuro abbia delle doti che lo rendono degno di tanto seguito, ci mancherebbe.

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Ci mancherebbe.

Al di là di giudizi di merito sullo spessore intellettuale del brizzolato energumeno e dei suoi accoliti (tra i quali forse ci sei anche tu che leggi), una cosa è innegabile: quando uno è seguito da un numero di persone superiore a quello degli abitanti della Lombardia, è sicuramente un Influencer, ovvero uno che è in grado di influire sul comportamento di una mole notevole di persone. Per noi che siamo appassionati di marketing, questo si traduce così: “Se Vacchi si mette un cappello con le corna d’alce, la prossima settimana metà dei debosciati del Paese vorrà a sua volta un cappello così: corriamo a sterminare gli alci e a creare molti cappelli. Oppure possiamo agire preventivamente: “Regaliamo a Vacchi un cappello con le corna d’alce e convinciamolo a indossarlo mentre fa sci nautico tra i Faraglioni di Capri, così i suoi 11 milioni di ammiratori si fionderanno a comprarne uno anche loro“. Semplice e geniale, no? Si tratta del cosiddetto Influencer Marketing, la pratica cioè di fare leva su chi è influente su un ampio pubblico per promuovere un servizio o prodotto, attività che al giorno d’oggi è fondamentale conoscere e padroneggiare. Il dibattito su dove vada tracciato il confine per ora poco chiaro tra attività di Influencer Marketing e marchetta è molto acceso, però è evidente che sarebbe da pazzi non sfruttare le dinamiche tipiche dei Social Network per comunicare il valore della nostra offerta: sui Social i personaggi con ampio seguito sono alleati fondamentali, piacciano o meno a noi del dipartimento marketing.

Tra le avventure estive del Vacchi sarebbe molto facile scegliere di parlare di quella che ha visto come coprotagonista il Fisco italiano, che un bel giorno ha deciso di pignorare qualsiasi cosa all’indebitatissimo brizzolato enjoyatore. Sarebbe però una scelta poco interessante per noi: meglio concentrarci su un’altra vicenda passata un po’ in sordina ma più istruttiva, ovvero quella volta in cui il celebre dj e produttore Joe T Vannelli ha rifiutato di esibirsi in un locale dopo aver appreso che gli organizzatori avevano invitato appunto Vacchi come special guest assieme a lui.

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L’ora delle decisioni irrevocabili.

Ora, non sono un appassionato di musica House ma perfino io conosco Vannelli, e so che è in attività da un numero spaventoso di anni: piaccia o meno il genere non si può negare che sia un’autorità in materia. Soprattutto, Joe T Vannelli dice qui una cosa nobile sacrosanta: col denaro non si compra un mestiere. O forse sì?

Investigando un po’ sulla questione ho trovato sul sito del Fatto Quotidiano un articolo del 2015 che scalfisce la superficie del recente trend per cui tutti ormai si improvvisino dj: lo fanno tronisti, calciatori, mangiapane a tradimento assortiti. Lo fa perfino Sasha Grey, che molti di noi hanno conosciuto in anni più spensierati in tutt’altra veste.

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Quella di scrittrice.

Cosa lega Gianluca Vacchi e Sasha Grey, a parte forse la passione per l’abbronzatura integrale? Cosa spinge il gestore di un locale a equiparare un professionista con quarant’anni di esperienza con un amatore che passa la maggior parte delle sue giornate in spiaggia, invitandoli entrambi nel proprio locale la stessa sera? Semplicissimo: entrambi portano clienti. Poco importa al gestore veronese che Vannelli sappia fare il suo mestiere e Vacchi no, al gestore interessa giustamente incassare il più possibile, dunque cercherà gente che abbia tanto seguito. Ovvero Influencer: sempre di Influencer Marketing si trattaCerto, si intuisce un problema di fondo, che è quello della qualità del servizio erogato: uno ci può cascare una, due, tre volte, ma alla fine si suppone che opti per l’offerta di qualità. Giusto? Giusto. Peccato però che la qualità che conta sia quella percepita dal cliente, non quella che noi pensiamo di erogare: la qualità esiste solo in funzione di un pubblico. Mi verrebbe quasi da dire che Vannelli avrebbe dovuto approfittare dell’occasione per tentare di “rubare” follower a Vacchi, per aumentare la qualità percepita del suo lavoro a discapito di quello amatoriale del suo antagonista. Ha reagito invece in maniera comprensibilmente piccata vedendo la propria professionalità sminuita, scelta legittima che ci riporta davanti alla questione principale: perché qualcuno si è sentito in diritto di sminuire tale professionalità? A mio modo di vedere la risposta è semplice, e la si individua guardando in maniera un po’ creativa al principio di Peter.

Il principio di Peter ci dice che “ogni membro di un’organizzazione gerarchica sale nei livelli della gerarchia sino a raggiungere il suo massimo livello di incompetenza“, ed è un interessante paradosso del management noto da diversi anni: si tratta del motivo per cui molti di noi nella vita ci siamo trovati (o ci troveremo) ad avere a che fare con un capo idiota. Un esempio? Poniamo che io sia bravissimo a fare il caldaista, lavoro per il quale occorrono precise competenze tecniche: sono davvero bravo, lavoro sodo, testa bassa e poche chiacchiere, grande puntualità e precisione, i superiori sono felici di me. Sono solo un po’ scorbutico e non ho molta pazienza con chi non conosce le caldaie bene quanto me, però nel mio ruolo sono un autentico drago. Dopo qualche anno grazie ai miei risultati vengo promosso a caposquadra: devo ora passare meno tempo a smanettare e dedicarne molto di più a coordinare giovani caldaisti. Ecco che di colpo le mie abilità tecniche contano un po’ meno e inizia a pesare di più la mia incapacità relazionale: il fatto di non essere paziente ora è un bel problema, perché gli apprendisti non traggono beneficio dalla mia competenza se non riesco a trasmetterla. Magari ho anche aspettative irrealistiche sul loro operato, perché ripensando a quanto ero bravo io mi sembrano lenti e mediocri. Sono diventato insomma un pessimo capo: il principio di Peter è soddisfatto, i miei apprendisti un po’ meno.

Il principio di Peter si basa sul fatto che eccellere quando ci si trova a un livello gerarchico non implica la capacità di brillare una volta raggiunto il successivo, dato che le competenze richieste sono spesso molto diverse. La mia teoria è quella per cui nell’epoca dei Social, in cui Instagram fa sentire tutti fotografi, Youtube fa sentire tutti videomaker, Twitter fa sentire tutti Presidenti degli Stati Uniti, sia nata una variante orizzontale del principio di Peter: non si tratta più di risalire la scala gerarchica, piuttosto di spostarsi lateralmente verso un settore diverso dal nostro, illudendoci di essere bravi in un ambito scorrelato da quello in cui eccelliamo anche grazie al fatto che ci portiamo dietro per inerzia un insieme di utenti/clienti/follower/amici/tirapiedi che ci seguono un po’ a prescindere. Aggiungiamoci la complicità del famigerato Effetto Duning-Kruger e il gioco è fatto: dal momento che ho tanti follower su un Social grazie a determinate qualità, allora ritengo di essere capace di averne altrettanti anche in un contesto diverso in cui servirebbero skill che non ho. Siccome il mio zoccolo duro di followers mi accompagnerà ciecamente nella transizione (magari perché anche loro sperano sia possibile essere dei tuttologi, e io corroboro questa loro illusione) allora riuscirò a convincere qualcuno a darmi fiducia, facendomi equiparare a professionisti del settore. Questo è a mio avviso il meccanismo che porta tanta gente con tanto seguito sui Social a improvvisarsi dj: avendo molti follower la mia prima serata andrà relativamente bene dal punto di vista dell’affluenza; siccome la prima serata è andata bene mi inviteranno ancora; siccome continuano a invitarmi non mi metterò mai sotto per imparare davvero il mestiere. Perché proprio il dj? Perché è la cosa più vicina a fare i musicisti senza allontanarsi da un PC o da uno smartphone, ed è nell’ottica di molti un modo semplice per salire sul palco e diventare i protagonisti della serata: so molto bene che i dj veri hanno fior di attrezzature, e so che fare il dj non vuol dire semplicemente premere Play al momento giusto, tuttavia per un pubblico ineducato e incapace di distinguere un lavoro tecnicamente mediocre da uno fatto bene è più che sufficiente. Contenti loro, contenti tutti.

Si tratta di un fenomeno negativo? Sì e no: se ci poniamo nei panni di un dj vero è sicuramente un male, dato che la mia categoria ne esce lesa da una concorrenza apparentemente ingiusta. Se invece indossiamo per un attimo i panni a pois del Vacchi di turno è una situazione ottimale: incasso senza sforzo, guadagno follower (perché assieme ai miei fedelissimi capterò i loro amici, gli amici dei loro amici, gente che vuole emularmi e così via), guadagno materiale da condividere online, guadagno visibilità, ottengo altre serate. E se volessimo indossare il vestito che avevamo all’inizio, quello del marketer? Niente panico, per noi non esistono fenomeni negativi o positivi: si tratta di individuare i trend, capirli, possibilmente sfruttarli. Il principio di Peter orizzontale è reale o me lo sono sognato io? Solo il tempo ci darà una risposta. E quando l’avremo trovata le cose saranno già cambiate, avremo altri fenomeni da studiare e altre domande da porci.

Ora per favore fate partire questa canzone, e correte a recuperare un po’ di vecchio materiale di Sasha Grey. Parlo ovviamente del suo romanzo.

4 Comments

  1. Bell’articolo, con considerazioni attuali e che credo richiederebbe un approfondimento sullo sminuimento della professionalità in generale. Perché è cero che se il Vacchi di turno può avere i grandi vantaggi che hai elencato, può anche causare enormi danni se invece di improvvisarsi “solo” (non me ne voglia la categoria) DJ, decide che le sue ottime capacità empatiche e retoriche sono ottime anche per curare la gente, trasformando il vantaggio in un approfittarsi.

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    1. Si apre un mondo di possibilità, più o meno critiche. Un trend che noto aumentare è la comparsa di persone che non si capisce se siano matti o ciarlatani, ad esempio: penso che come dici tu personaggi così avrebbero tutte le carte in regola per inventare la prossima fuffa pseudo-magica tipo serie numeriche.

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  2. Veramente ben scritto l’articolo, sei stato bravo a non cadere nelle solite critiche banali che si possono muovere sull’argomento e sui personaggi in questione. Vorrei dire qualcosa a riguardo e ci sono tanti temi su cui argomentare ma non sono bravo quanto te, mi innervosisco a pensare a queste cose. In fin dei conti l’unica arma efficace a questo genere di cose e’ ignorare.

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