Go to Market: pietre, birra e sovrani

Tra le varie espressioni di cordoglio che hanno seguito in questi giorni la scomparsa del compianto Paolo Villaggio, una in particolare mi ha colpito. Si tratta di un post su Facebook abbastanza scontato conoscendo la filmografia del comico genovese, ovvero un rimando alla storica familiare di Peroni gelata (quella adatta al tifo indiavolato e al rutto libero). La particolarità è che questo post è stato postato sull’account della birra Ceres, che di Peroni è un competitor.

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I commenti dell’utenza della pagina non si sono chiaramente fatti attendere, e sono stati largamente positivi.

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Al di là di qualche carenza grammaticale nei feedback, il tono dimostra che Ceres ha raggiunto il risultato sperato. C’è stato naturalmente chi ha individuato immediatamente in questa operazione non tanto un omaggio fine a se stesso di un’azienda a un’altra, bensì un’operazione precisa e opportuna di instant marketing, un fortunato colpo di intuizione che porterà a Ceres una gran bella pubblicità.

C’è però un risvolto: qualcuno dopo aver visto quel post andrà sul serio a bersi una Peroni familiare, giusto? Giusto.

Una volta ho sentito una similitudine sul mondo del marketing che mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, poiché si avvicinava molto a mio parere a centrare l’obiettivo ma deviava leggermente di lato, atterrando poco distante dal bersaglio: il marketing, secondo chi parlava, sarebbe come una partita a scacchi. Questo a mio modo di vedere è generalmente errato per un motivo molto semplice: gli scacchi, come disse il pittore Marchel Duchamp, sono uno sport violento. Violento fino alle estreme conseguenze: il fine ultimo degli scacchi è annientare l’avversario, far cadere il Re (lo Shah). Gli scacchi sono la rappresentazione teatrale in scala ridotta di una carneficina, in cui la patta è sì un’opzione ma disincentivata (anzi, proibita da alcuni regolamenti). La similitudine con gli scacchi non tiene in considerazione un fatto abbastanza semplice: nel mondo in cui viviamo, che non è ideale, è molto difficile fare marketing per annientare l’avversario. Nella maggior parte dei casi ci si assesterà su posizioni diverse ma continueremo a esistere entrambi: ci sarà chi prevale, ma noi e l’altro saremo fisiologicamente parte di un unico ecosistema.

Il Go (o Igo, o Wei-qi), gioco cinese nato circa 2500 anni fa, è a mio modo di vedere un’approssimazione molto più realistica dell’arte del marketing: si tratta di un gioco che si svolge su una plancia di legno chiamata goban, su cui sono tracciate 19 righe orizzontali e 19 verticali. Sulle intersezioni tra queste righe vanno piazzate da ciascuno dei due giocatori delle pietre: un giocatore usa pietre bianche e l’altro pietre nere. I due posano a turno una pietra per volta: le pietre posate non possono mai essere spostate Con le loro pietre di diverso colore, i giocatori puntano a circondare il territorio più ampio possibile sul goban: a differenza degli scacchi, in cui si schiera un esercito sul campo di battaglia per poi vederlo decimato dall’avversario, nel Go si costruisce qualcosa assieme. Il Go è un gioco con poche regole e con un numero elevatissimo di possibili partite, nel quale è praticamente impossibile annientare totalmente l’avversario: competendo per due fini diametralmente opposti, i giocatori plasmano un piccolo mondo di legno e pietra. C’è chi vede nelle diverse fasi di una partita a Go la rappresentazione non di una battaglia, come accade per gli scacchi, bensì della nascita di due civiltà limitrofe in competizione per le stesse risorse, due civiltà che dovranno imparare a convivere. Ci saranno conflitti, ci sarà una posizione di dominio al termine della partita, però a nessun Re verrà tagliata la testa: la partita si conclude con la determinazione da parte dei due giocatori di chi abbia ottenuto il maggior numero di punti, cosa che coincide al netto di pietre catturate (non mangiate o uccise, catturate) con la quota di goban occupata da ciascuno dei due. Chi ha detto market share?

Un giocatore di Go accetta il fatto che l’avversario sia suo compagno di vita sul goban, non lo considera come un problema da eliminare ma come un male necessario, lo yin che fa eco al proprio yang. Il Go è raffinato e complesso: solo molto recentemente è nata una forma di Intelligenza Artificiale sufficientemente evoluta da battere i migliori giocatori umani, chiamata come molti sapranno AlphaGo. AlphaGo ha per ora un limite che molti uomini non hanno: a differenza sua, noi sappiamo bene che il “nemico” non va necessariamente schiacciato, bensì conosciuto, rispettato, a volte omaggiato con garbo. Non viviamo su un campo di battaglia, siamo piuttosto chiamati a costruire qualcosa di bello, qualcosa di armonioso. Chiaro che alla fine della giornata ci farà piacere aver ottenuto la quota di mercato più grande, aver racchiuso con le nostre pietre un territorio più ampio di quello dell’altro, ma possiamo tranquillamente farlo senza animosità, prendendoci il tempo per una familiare di Peroni gelata. E rutto libero.

Ora per favore fate partire questa canzone, e andate alla proiezione di un film cecoslovacco (ma coi sottotitoli in tedesco).

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